Conviviale in sede, relatore Dr. Davide Dotti

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Conviviale in sede, relatore Dr. Davide Dotti

La storia dell’arte è una disciplina così ampia e variegata da poter essere letta, e interpretata, da molteplici prospettive e angolature.
Questa chiacchierata non ha l’ambizione di essere un campionario della “Musica Picta” in ambito bresciano tra Cinquecento e Settecento, ma piuttosto quello di rappresentare un primo, sintetico tentativo di fornire alcuni preziosi e sorprendenti “camei musicali” che i “nostri” Foppa, Romanino, Savoldo, Moretto, Celesti, Cifrondi, Ceruti e altri ancora hanno inserito in alcuni loro lavori. Vincenzo Foppa, Adorazione del Bambino, 1478 Detroit, The Detroit Institute of Arts . Tre Angeli leggono brano dal Corale; Arpa e Liuto, lo strumento più amato e diffuso nel Rinascinento.
Nella prima metà del 500 a Brescia si vive la massima fioritura delle botteghe dedite alla fabbricazione di strumenti musicali. La famiglia Antegnati costruisce i famosi organi GRAZIADIO 1581; i Virchi le cetere 1574; Gasparo da Salò si specializza nella famiglia degli archi contrabbasso BIONDO SALO' e violino OLE BUL; altri costruttori, meno noti, contribuiscono a rendere la città un centro di grande eccellenza a livello europeo. Continuando nella nostra carrellata possiamo ammirare l’opera di Paolo da Caylina il Giovane, Brescia, Basilica di San Salvatore; Angeli che suonano un cromorno e un tambourin de Béarn, una lunga cassa lignea alla quale erano tese da due a sette corde fissate con i piroli, due fori di risonanza cruciformi e un piffero con tre fori chiamato galoubet. Lo stesso strumento di origini francesi, con qualche leggera variante, lo ritroviamo nella volta della chiesa di Sant’Antonio a Breno sempre ad opera di Paolo da Caylina il Giovane, Quattro evangelisti e angeli musicanti. Breno, chiesa di Sant'Antonio. Nello stesso complesso possiamo ammirare di Girolamo Romanino, Re Nabucodonosor condanna i compagni di Daniele alla pena della fornace (Breno), chiesa di Sant'Antonio due trombettieri in uniforme con le guance gonfie perché colti nello sforzo di insufflare aria nel bocchino delle trombe reali ornate da drappi rossi. Di Grazio Cossali, nella Basilica di San Faustino Maggiore possiamo ammirare il particolare delle trombe reali e più in basso di un tamburino e di un flauto traverso nell’opera “Apparizione dei santi Faustino e Giovita in difesa di Brescia” che descrive la ritirata dell’esercito milanese di Filippo Maria Visconti ordinata da Niccolò Piccinino dopo l'apparizione di Faustino e Giovita, 1438, Spalti del roverotto. Lattanzio Gambara, Apollo con la lira da braccio. Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo. Qui Apollo impugna un archetto e la vera lira da braccio rinascimentale, detta anche lira perfetta, composta dalla cassa di risonanza con i due fori armonici, dalle sette corde - di cui cinque sul manico e due di bordone - e dal cavigliere a forma di cuore. Celeberrimo di Giovanni Gerolamo Savoldo, Flautista. Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo. Il madrigale suonato dal melanconico flautista venne composto negli anni venti del Cinquecento dal padovano Francesco Santacroce. “O morte? Hola!” che si legge sullo spartito, rimanda a un sonetto in cui il poeta invoca la morte per sottrarsi alle pene d’amore. Di Alessandro Bonvicino detto Moretto, Madonna col Bambino e le sante Cecilia, Agnese, Barbara, Caterina e Lucia. Verona, chiesa di San Giorgio in Braida tiene con le mani un piccolo e raffinato organo portativo la cui tastiera quasi da bambino, a differenza di altri particolari - come fa notare il professore Dassenno - è stata riprodotta con grande attenzione tecnica: un’estensione di tre ottave in Do, con la prima detta “corta” . Vari strumenti giacciono sparsi a terra nel primo piano: una ribeca capovolta, due flauti e un liuto sul quale la santa poggia il piede per denunciare le ingannevoli seduzioni mondane e prendere le distanze dalla musica terrena, che è effimera rispetto all’armonia celeste Facendo ora una rapida incursione nel campo della cosiddetta “pittura di genere”, due sono le opere che vale la pena citare per la loro bellezza e rarità iconografica. La prima l’affresco che Gambara realizzò in Palazzo Maggi a Cadignano dove, con grande eleganza e raffinatezza, il maestro rappresenta un vero e proprio concertino campestre con protagonisti due uomini e due donne ritratti mentre suonano con impeccabile professionalità un flauto traverso, liuto, viola da gamba e spinetta. Antonio Gandino, Interno con scena di concerto. Collezione privata. Fulcro compositivo della scena è l’elegante maestro di musica ritratto di spalle che dirigere il concerto: i giovani cantori alla sua destra sono invitati a intonare il brano, mentre la suonatrice di liuto, adorna di perle e di gioie, forse una cortigiana, viene invitata dal maestro con il gesto della mano a rallentare il ritmo della sua esecuzione. L’uomo accanto a lei, con il viso segnato dalle rughe e il cappello decorato da una vistosa spilla, getta un’occhiata allo spartito che gli sta dinnanzi e poggia la mano sul tavolo ricoperto da un drappo di velluto verde sul quale si distende l’ombra del liuto impugnato dalla donna. Sulla destra i due giovani si apprestano a intonare qualche nota: il ragazzo col cappello piumato e la barba incolta è concentrato sul foglio che tiene in mano; il più piccolo, invece, è assorto, quasi estasiato, dall’esecuzione del brano. Sebbene Gandino abbia dipinto con diligenza le cinque righe del pentagramma “alla moderna” sugli spartiti, non ha fornito indicazioni circa il brano eseguito. Le uniche parole che riusciamo a leggere distintamente su due libretti poggiati sul tavolo sono “CANTUS” e “BASSUS”, le classiche denominazioni delle estensioni vocali o strumentali in parti (piccoli libretti o fogli volanti) usate nella musica strumentale durante il periodo di transizione tra Cinque e Seicento. Cecilia, colta in un momento di totale trasporto emotivo, sta accarezzando con il pollice, l’indice e l’anulare della mano sinistra i tasti di un organo positivo con la classica facciata a tricuspide. La santa è attorniata da una folta schiera di corpi celesti variamente indaffarati: due angeli cantori sorreggono gli spartiti; il putto biondino seduto sul gradino in primo piano a sinistra volge lo sguardo allo spettatore mentre regge il violino; gli fa da contraltare l’angelo sulla destra che suona un violoncello tipicamente bresciano, riconoscibile per il doppio filetto esterno sulla cassa armonica. Nel secondo piano i messaggeri divini impugnano un corno ad ancia, un oboe e un violone, mentre dalle vaporose nubi del cielo proviene il suono melodioso di un’arpa, di un flauto traverso e di un liuto. Attorno agli anni quaranta del Settecento il Pitocchetto ritrasse con il suo pungente e folgorante realismo quello che ha tutta l’aria di essere non un musicista professionista, bensì un nobiluomo imparruccato e ben agghindato secondo la moda dell’epoca colto mentre si diletta a suonare un violoncello. Con lo sguardo intenso e penetrante cerca di entrare in dialogo con noi, rimanendo però concentrato sulla melodia da suonare: impugna elegantemente con la sinistra l’archetto che fa vibrare le quattro corde, la prima delle quali è insolitamente bianca. La mano dell’uomo è posta all’altezza del ponticello del violoncello di manifattura cremonese, riconoscibile dal riccio i cui profili esterni sono ebanizzati, e da altri particolari Faustino Bocchi, Lezione di musica e canto. Collezione privata L’istrionico artista aveva la sua bottega in via della Pace e lì radunava gentiluomini e intellettuali che si intrattenevano suonando, conversando e commentando le geniali invenzioni del pittore, che sapeva fondere ironia e cultura classica, estro e incredibile fantasia. Come attestano le fonti antiche, la musica aveva largo spazio nello studio e, probabilmente, anche nella vita di Bocchi. Non a caso nella Lezione di musica e canto egli si ritrae nei panni di un maestro che, con fare impetuoso, dirige il coro delle voci bianche dinnanzi a lui e il gruppo di uomini prigionieri in una gabbia alla sua sinistra. Sotto i suoi piedi vi è un librone che reca le scritte: “Cantate da camera di Faustino Bocchi Pittore e Musico”. Le cantate erano composizioni che prevedevano l’alternarsi di arie, duetti, recitativi e brani strumentali: la prima raccolta era stata edita nel 1670, ed è del tutto probabile che Bocchi fosse aggiornato sulle forme più contemporanee della musica barocca. Nella divertente e ridicola scena la base musicale proviene da un violino goffamente maneggiato da due nani che, con le loro dita grassocce, pizzicano le corde mentre altri tre compagni le mettono in vibrazione facendo faticosamente scivolare l’archetto su di esse. Con questi nanerottoli sgraziati e irriverenti, che più che suonare un violino sembrano colti nell’atto di gareggiare al tiro alla fune, Faustino Bocchi celebra e fonde