
Visita alla Mostra “Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo 1512-1552”

Eccentrico. A tratti inquieto. Concreto come solo i bresciani sanno essere. Capace però di imprevedibili, seppur sommessi, slanci poetici.
Un Rinascimento che celebrava le donne. Che identificava nella natura uno spazio di armonia e una fonte di possibile sviluppo. Che non rimase indifferente ai primi fermenti di riforma religiosa. Che fu segnato da una immane tragedia, e seppe superarla. Una città che indaga la sua storia e la sua identità e la rappresenta attraverso i grandi capolavori della sua più grande stagione pittorica. Moretto, Romanino e Savoldo sono gli straordinari protagonisti di una mostra che mette in scena l'animo umano. Dai primi scritti giovanili di Roberto Longhi in poi, la scuola bresciana del I Rinascimento ha guadagnato un proprio ruolo nella storia della pittura italiana.
La mostra "ll Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552" tratteggia un ampio contesto di fondo, nel quale la pittura diviene specchio e sintesi di un complesso sistema di relazioni, di idee, di figure carismatiche e di fatti e dal quale emerge lo spirito di un'intera epoca. In mostra, i dipinti di Moretto, Romanino e Savoldo - sommi interpreti di quella stagione - trovano un inedito corrispettivo in una selezione di libri e oggetti preziosi, che contribuiscono ad arricchire il racconto introducendo temi e dialoghi originali. La scelta ha puntato principalmente su grandi raccolte museali nazionali e internazionali, mentre la Pinacoteca Tosio Martinengo, i musei e le chiese della città e del territorio sono intesi come naturale complemento e prosecuzione del percorso espositivo, insieme con alcuni spazi pubblici che furono teatro di eventi di grande rilievo nella storia cittadina. L'invito - rivolto ai bresciani e ai turisti che sempre più numerosi scelgono Brescia e i suoi tesori - è quello di scoprire quei decenni eccezionali visitando non solo la mostra, ma anche i musei, le chiese, i palazzi, le piazze e le strade che conservano memoria di quella stagione straordinaria.
A Brescia, Moretto, Romanino e Savoldo furono i protagonisti di una stagione pittorica che ebbe nella fedele rappresentazione della realtà la sua cifra caratteristica. Volendo però guardare oltre il dato di stile, di quale "spirito" sono portatrici le loro opere? Quali vicende, quali passioni, quali personalità animavano la città che vide fiorire, nella prima metà del Cinquecento, questi eccezionali talenti? Per raccontare tutto ciò, la mostra promossa da Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Skira delinea un grande affresco intorno alla figura di Fortunato Martinengo, il malinconico gentiluomo effigiato in un enigmatico ritratto di Moretto oggi conservato alla National Gallery di Londra. Poeta, aristocratico raffinato e tormentato pensatore, Fortunato diviene - attraverso le vicende della sua biografia, la rete delle sue relazioni, le tracce dei suoi pensieri - la guida e la lente con le quali ricostruire e guardare un'epoca straordinaria. Grande, prospera, bella. Così Brescia sì presentava agli occhi del mondo nei primi anni del Cinquecento. E grande lo era per davvero: con circa 60.000 abitanti, figurava infatti tra le venti città più popolose d'Europa, rappresentando, con la vicina Verona, il centro urbano più importante della Terraferma veneta. Venezia, che dominava su Brescia dal 1426, era stata in grado di costruire con i sudditi bresciani un proficuo rapporto di reciproca conoscenza, che si era concretizzato - tra le altre cose - nel rinnovamento degli spazi pubblici e nella definizione di una peculiare cultura civica, fondata sulla celebrazione dell'antichità romana. Brescia, pur tra qualche attrito interno, poté cosi veder fiorire la nuova platea magna, ovvero la grande piazza scandita dalle linee armoniose della Loggia e del Monte di Pietà, allestito come un museo a cielo aperto impiegando nella facciata numerose epigrafi di età romana; e ancora, vide sbocciare prestigiose imprese tipografiche e scuole umanistiche; e in città fu chiamato a tenere lezioni pubbliche di disegno e di architettura il maestro per antonomasia del primo Rinascimento bresciano, Vincenzo Foppa, di ritorno da Milano.
Questo quadro di apparente sintonia tra Venezia e Brescia si interruppe bruscamente all'indomani della disfatta di Agnadello, il 14 maggio 1509. Nella celebre battaglia, l'esercito veneziano fu umiliato dalle forze armate della Lega di Cambrai, subendo il trionfo sul campo del re di Francia Luigi XII. In uno scenario inimmaginabile solo pochi anni prima, i domini veneziani nell'entroterra furono invasi da decine di migliaia di soldati forestieri e infine spartiti tra le grandi potenze che alla fine del 1508 avevano costituito la Lega di Cambrai: all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo toccarono i territori veneti e friulani, al re cristianissimo di Francia andò invece la Lombardia. Il 23 maggio, sotto un baldacchino celeste intessuto di gigli, Luigi XII fece il suo ingresso trionfale a Brescia, accompagnato da migliaia di lanzichenecchi, i temibili mercenari imperiali, e di soldati francesi e svizzeri. Brescia, impaurita e affascinata dal nuovo sovrano, lo accolse facendo dipingere le insegne regali sulle principali facciate della città, come ci informa il cronista bresciano Pandolfo Nassino.
Tra lotte intestine, nostalgia per la sovranità di Venezia e infatuazione per i francesi, a Brescia si inaugurò così una stagione scandita dalla convivenza con gli eserciti stranieri e da ripetuti e violenti rivolgimenti, che si sarebbe conclusa solo nel 1516, quando Venezia riprese definitivamente possesso delle città di terraferma. Il momento più tragico di questi anni così tormentati, che lasciarono la città prostrata, ebbe luogo nel 1512.